Filippo, Sabino e Giuseppe Belli
In Atripalda, ove, a tacere di molti altri, ebbero ancora i natali Marco Mariconda consigliere del supremo Senato napoletano, Andrea e Cassiodoro Simeone giudici della Gran Corte della Vicaria, e questi ancora professore nella R. Università, fu del pari la patria di Filippo Belli. Costui nel 1666 nacque da Antonio Belli giureconsulto di grido e da Beatrice Capozzi; i genitori scorgendo in lui uno svegliato ingegno pensarono convenevolmente educarlo ed all'uopo il mandarono in Napoli. Quivi dai padri della compagnia di Gesù compì il corso di studii letterarii con lode e fu tenuto in alta stima dal suo concittadino Eliseo Danza. Indi gli studii a cui si sentì trasportato furono quelli del diritto civile e canonico ed in entrambi ottenne la laurea, non cessando poi di logorarsi la vita per meglio approfondirsi del diritto canonico e romano così che levossi a gran fama e meritò gli encomii dei più famosi giureconsulti del suo tempo, come a dire di Alvario Quarta regio consigliere e vice presidente della gran Corte, nonchè di Fabio Bruno, Giovanni del Ponte, Carlo Falcone e Giulio Rufolo. Non molto andò, che fu approvato in Giudicatura, così che veniva consultato nelle cause di maggiore momento ed andavano a sua casa come in un'accademia Forense. L'alto suo sapere e la sua specchiata probità fecero che il governo dei suoi tempi lo mandasse a governare la provincia di Campobasso ed altre ancora, lasciando dovunque bella fama d'integrità. Ma la morte dei genitori l'obbligò a tornare a casa, e quivi per svago si diede a poetare e nel 1714 stampò diverse poesie scritte in occasione della nascita di Marino Caracciolo. Amante della terra natia trattò di archeologia per illustrarla, nonchè compose una biografia di S. Sabino, ma sulle orme del Barberio. Con ciò non tralasciò lo studio delle leggi romane, e mentre attendeva a scrivere per pubblicare i commentarii sulla legge romana cessò di vivere nel 1719. Non di minor fama fu poi Sabino Belli presidente della gran corte criminale, nonchè uomo di severi costumi e di specchiata probità. Questi, quando il suo germano Alfonso per aver tenuto mano attivissima ai movimenti politici del 1820 fu dannato all'esiglio, restò unica guida e conforto ai derelitti nipoti. Tra costoro è da ricordarsi Sabino, sacerdote distinto e valente nelle discipline filosofiche, e Giuseppe nato nel 1817 carissimo allo zio e dotto nella scienza del diritto. Questi, come il padre potè impatriare dopo il 1830, recossi in Napoli, ove si addisse alla camera del foro guidato dall'insigne giurista Giacinto Galanti. Avendo ereditato dal padre sentimenti altamente liberali non fu estraneo agli avvenimenti del 1818, ed allora fu destinato a sotto intendente di Vallo Lucano, però funne destituito tra i primi, come prevalse la reazione. Ma sopravvenuti poi gli avvenimenti del 1860 l'opera sua fu tenuta necessaria a costituire ed assodare i nuovi ordini politici. Per il che dapprima fu egli rivestito della carica di Prefetto nella provincia natia e poi di quello di Campobasso, Sassari, Alessandria, Salerno, Massa e Carrara, Caserta. In tutte le mentovate provincie lasciò bella fama di se per prudenza, imparzialità e fortezza di animo, poichè alla solida dottrina amministrativa congiunse sensi di profonda giustizia. In costui l'uomo privato col pubblico furono in perfetto accordo; ed oltre la sua forte conoscenza del diritto è da notarsi come aveva vasta coltura letteraria avendone data prova nelle diverse produzioni pubblicate innanzi il 1848 sul Poliorama Pittoresco e L'Omnibus i Diari di quel tempo. Nel 1877 cessò di vivere lasciando larga eredità di affetti nei suoi ed in quanti ebbero ad ammirare le peregrine sue doti.
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